Tuesday 8 November 2011

Sull'opinione generale

[...] La gente comune ha profondo rispetto per gli esperti di ogni genere. Essi non sanno che chi fa professione di qualcosa non ama questa ma il suo guadagno: né sanno che chi insegna una certa cosa raramente la conosce a fondo, perché a chi la studia a fondo di solito non rimane neppure il tempo per insegnare. Solo per il vulgus ci sono molte autorità che trovano rispetto: se non se ne ha alcuna che fa al caso, se ne prenda una apparentemente adatta, si citi ciò che uno ha detto in un altro senso o in altre circostanze. Le autorità che l'avversario non capisce affatto per lo più producono l'effetto migliore. Gli incolti hanno un rispetto del tutto particolare per le espressioni retoriche greche o latine. All'occorrenza, le autorità si possono non solo distorcere, ma addirittura falsificare o perfino inventare: per lo più l'avversario non ha il libro a portata di mano e non sa nemmeno come consultarlo. Il più bell'esempio a questo proposito è offerto dal francese Curé, il quale, per non pavimentare la strada davanti alla sua casa, come erano obbligati a fare gli altri cittadini, citò un detto biblico: paveant illi, ego non pavebo [tremino pur quelli, io non tremerò]. Ciò convinse gli amministratori comunali.

Anche pregiudizi generali possono essere usati come autorità. Infatti, con Aristotele, credo nell'Etica Nicomachea, i più pensano: […] [le cose che sembrano giuste a molti, queste diciamo che sono. Etica Nicomichea, X, 2, 1172 b 35]; sì, non c'è alcuna opinione, per quanto assurda, che gli uomini non abbiano esitato a far propria, non appena si è arrivati a convincerli che tale opinione è universalmente accettata. L'esempio fa effetto sul loro pensiero, sia sul loro agire. Essi sono pecore che vanno dietro al montone ovunque le conduca: è per loro più facile morire che pensare. È assai curioso che l'universalità di un'opinione abbia per loro tanto peso, dal momento che essi possono pur vedere su di sé quanto si accettino opinioni senza giudizio e solo in forza dell'esempio. Ma in realtà non lo vedono, perché manca loro ogni conoscenza di sé. Solo i migliori dicono, con Platone, […] [i molti hanno molte opinioni. Repubblica, IX, 576 c], cioè il vulgus ha molte frottole in testa e, se si volesse tenerne conto, si avrebbe un gran da fare.

L'universalità di un'opinione, parlando seriamente, non costituisce né una prova né un motivo che la rende probabile. Coloro che lo affermano devo ammettere: 1) che la distanza nel tempo priva quella universalità della sua forza probante: altrimenti dovrebbero riportare in vigore tutti gli antichi errori che un tempo erano universalmente considerati verità: per esempio, dovrebbero ripristinare il sistema tolemaico oppure, nei paesi protestanti, il cattolicesimo; 2) che la distanza nello spazio produce lo stesso effetto: altrimenti l'universalità di un opinione fra chi professa il buddhismo, il cristianesimo e l'islamismo li metterà in imbarazzo. (Secondo Jeremy Bentham, Tactiquedes assemblées législatives).

Ciò che così si chiama opinione generale è, a ben guardare, l'opinione di due o tre persone; e ce ne convinceremmo se potessimo osservare come si forma una tale opinione universalmente valida. Troveremmo allora che furono in un primo momento due e tre persone ad avere supposto o presentato e affermato tali opinioni, e che si fu così benevoli verso di loro da credere che le avessero davvero esaminate a fondo: il pregiudizio che costoro fossero sufficientemente capaci indusse dapprima alcuni ad accettare anch'essi l'opinione: a questi credettero a loro volta molti altri, ai quali la pigrizia suggeri di credere subito piuttosto che fare faticosi controlli. Così crebbe di giorno in giorno il novero di tali accoliti pigri e creduloni: infatti, una volta che l'opinione ebbe dalla sua un buon numero di voci, quelli che vennero dopo l'attribuirono al fatto che essa aveva potuto guadagnare a sé quelle voci solo per la fondatezza delle sue ragioni. I rimanenti, per non passare per teste irrequiete che si ribellano contro opinioni universalmente accettate e per saputelli che voglio essere più intelligenti del mondo intero, furono costretti ad ammettere ciò che era già da tutti considerato giusto. A questo punto il consenso divenne un obbligo. D'ora in poi, i pochi che sono capaci di giudizio sono costretti a tacere e a poter parlare è solo chi è del tutto incapace di avere opinioni e giudizi propri, ed è la semplice eco di opinioni altrui: tuttavia, proprio costoro sono difensori tanto più zelanti e intolleranti di quelle opinioni. Infatti, in colui che la pensa diversamente, essi odiano non tanto l'opinione diversa che egli professa, quanto l'audacia di voler giudicare da sé, cosa che essi stessi non provano mai a fare, e in cuor loro ne sono consapevoli. Insomma: a esser capici di pensare sono pochissimi, ma opinioni vogliono averne tutti: che cos'altro rimane se non accoglierle belle e fatte da altri, anziché formarsele per conto proprio. Poiché questo è ciò che accade, quanto può valere ancora la voce di cento milioni di persone? Tanto quanto un fatto storico che si trova in cento storiografi, ma poi si verifica che tutti si sono trascritti l'uno l'altro, per cui, alla fine, tutto si riconduce all'affermazione di uno solo.


Arthur Schopenhauer


Friday 7 October 2011

Popolo di tifosi

Siamo un popolo di tifosi. Chi tifa la destra.. chi tifa la sinistra. Siamo anche convinti di tifare per nostra libera scelta. Niente di più illusorio!

E lo dimostra il fatto che scegliamo chi tifare in base al luogo in cui viviamo. In base alla cultura nella quale siamo immersi dalla nascita. Ci sono città in cui è normale essere di sinistra. Altre in cui è naturale essere di destra.

Un indizio che può svelare il carattere tifoso delle nostre scelte politiche sono i sentimenti che suscitano in noi la visione dei vari simboli: fintanto che sono urtato dalla visione di determinati simboli (se sono di destra la falce e martello mi disgusta; se sono di sinistra proverò indignazione ogni volta che vedo una svastica), posso essere ben sicuro: la mia scelta politica NON è libera. Non è autodeterminata. Viene da fuori. Dall'ambiente in cui siamo immersi. Magari se ci piace fare gli originali scegliamo l'opposto di quello che il nostro ambiente ci trasmette. Ma sempre determinati dall'esterno siamo.

Curioso è il fatto che più la nostra scelta non è libera, più la difendiamo con arroganza.

Sunday 6 March 2011

Confians



CONFIANS
Lyric & Music: Mino Cinelu

Manman mwen, pa plere konsa;
Papa mwen, pa dezole ou de sa;
Zót te di mwen fode ou pran pasyans
Men mwen pare, ban mwen on chans.

Yo di mwen mizik (se) pa bon biten
Ou pe keféayen,
Men mwen toujou priye i Bondye-o
Pou i pa lese tonbe Mino;

Priye, priye, priye-o
Priye, priye, priye-oo
Priye, priye, priye-o
Priye, priye, priye-oo.

Mwen goumen, toujou te ka goumen,
Mwen espere pésonn pa blese;
Padon pou fanmi mwen mwen kite,
Pou fe chimen lavi (mwen) mwen prese.

(Chorus)

Manman mwen, pa plere konsa;
Papa mwen, pa dezole ou de sa;
Zót te di mwen fode ou pran pasyans
Men mwen pare, ban mwen on chans.

Thursday 15 July 2010

Amico Fragile

Amico fragile è nata così: quando ero ancora con la mia prima moglie, fui invitato una sera a Portobello di Gallura, dove m'ero fatto una casa nel '69, in uno di questi ghetti della costa nord sarda: d'estate arrivavano tutti, romani, milanesi... in questo parco residenziale, e m'invitavano la sera che per me finiva sempre col chiudersi puntualmente con la chitarra in mano. Una sera ho tentato di dire: "Perché piuttosto non parliamo di...". Era il periodo, ricordo, che Paolo VI se n'era venuto fuori con la faccenda - ripresa poi mi pare da quest'altro qui, della stessa pasta - degli esorcismi. Insomma dico: "Parliamo un po' di quello che sta succedendo in Italia..."; nemmeno per sogno, io dovevo suonare. Allora mi sono proprio rotto i coglioni, mi sono ubriacato sconciamente, ho insultato tutti, me ne sono tornato a casa e ho scritto Amico fragile. L'ho scritta da sbronzo, in un'unica notte. Ricordo che erano circa le otto del mattino, mia moglie mi cercava, non mi trovava né a letto né da nessun'altra parte: c'era infatti una specie di buco a casa nostra, che era poi una dispensa priva anche di mobili, dove m'ero rifugiato e mi hanno trovato lì che stavo finendo proprio questa canzone.

[F. De André, in Doriano Fasoli, Fabrizio De André. Passaggi di tempo, p. 60]


* * * *

Certe cose non si capiscono perché sono mie personali. Evaporato in una nuvola rossa... è che, a quei tempi, io mi drogavo. La droga dei miei tempi era l'alcol: ho bevuto come una spugna fino a 45 anni.

[F. De André, in Alfredo Franchini, Uomini e donne di Fabrizio De André, p. 74]


fonte: http://www.giuseppecirigliano.it/Amico_fragile.htm

Monday 20 July 2009

Gli Ogm e le erbacce infestanti

La “corn belt” americana fu una delle prime zone - se non la prima in assoluto - a convertirsi alla tecno-agricoltura. Ed ora France 24 racconta come i contadini stiano cambiando rapidamente e amaramente idea.

Fra le pieghe di quella tecno-agricoltura infatti si è sviluppata una super erbaccia infestante, resistente ai diserbanti, che vedete nella foto. Cresce fino a tre metri e divora letteralmente i campi di soia e cotone. Costringe a lasciare incolti i terreni.

Tutto nasce dall’abitudine dei contadini di comprare “chiavi in mano”, per così dire, dalla Monsanto un kit che comprende sementi Ogm in grado di resistere all’erbicida Roundup e l’erbicida Roundup stesso.

leggi il resto dell'articolo su www.aamterranuova.it